Schio, 25 febbraio
L’immagine di quel ragazzo, Jamal, non me la scorderò mai. Stava lì per terra nel bosco, a torso nudo, scalzo, con i piedi piegati. Gli era successo quello che succedeva a un sacco di gente: era stato trovato dalla polizia croata, picchiato sui piedi, derubato di tutto, spogliato e rimandato scalzo oltre il confine.
Mi sono chiesta: e se non fossimo mai passatз di lì?
Abbiamo iniziato la nostra attività d’aiuto nel 2018. Un’associazione che io e mio marito conoscevamo e che lavorava per soccorrere le persone in viaggio sulla “rotta balcanica” aveva chiesto supporto. Mio marito, P., allora è partito per la Bosnia.
Al suo ritorno ha raccontato quanto fossero invivibili quei rifugi improvvisati tra i boschi dove le persone stazionavano. Da quel momento, sono partite le nostre staffette d’aiuto. Si noleggiava un furgone, tra amicз si raccoglieva un po’ di materiale, con il passaparola, e lo trasportavamo. Facevamo tutto in maniera molto spontanea, anche un po’ disorganizzata. Ma è stata quella la genesi del nostro collettivo, che pian piano si è ingrandito e strutturato grazie anche a G., studente di Schio in Erasmus ad Atene, che era entrato in contatto con realtà simili.
La polizia di frontiera non voleva che avessimo contatti con з migranti, e a volte dovevamo trovare degli escamotage. Una volta, per esempio, per giustificare tutti i sacchi a pelo, le coperte e il cibo che trasportavamo, ci siamo presentatз come scout, con fazzoletti e cappelli.
La situazione negli squat bosniaci era critica. C’erano grandi problemi di igiene, si stava diffondendo la scabbia.
Come collettivo abbiamo quindi pensato di occuparci di questo. Abbiamo preso quelle cassettine di plastica che al mercato si usano per la frutta, dentro abbiamo messo una piccola caldaia elettrica, una batteria, il tubo di una doccia e una bombola del gas. Ed ecco che aggiungendo una tenda-doccia del Decathlon, avevamo creato una piccola doccia portatile.
Da quel momento, nell’estate 2020, abbiamo iniziato a fare avanti e indietro con le nostre docce verso il confine bosniaco, portando anche pomate, medicine per la scabbia e vestiti nuovi.
All’inizio з ragazzз non si fidavano. Un membro del nostro collettivo ha dovuto farsi una doccia davanti a loro per dimostrare che non era nulla di pericoloso o, peggio, un sotterfugio.
Siamo andatз avanti per due anni, durante cui abbiamo sentito testimonianze dirette e denunciato la violenza della polizia croata. Ma nel frattempo, il flusso della rotta stava cambiando. Così, l’anno dopo, abbiamo portato le nostre docce in Serbia, al confine con l’Ungheria. Usavamo fino a 1000 litri d’acqua e facevamo 150 docce al giorno.
In Serbia le persone ci raccontavano delle violenze subite per mano della polizia bulgara al confine con la Turchia. Per questo nel 2023 ci siamo spostati là.
In Bulgaria la popolazione migrante è costretta a stare nei campi governativi, per cui le nostre docce non servivano più. Ma la situazione era comunque grave.
Attraversare quel confine è pericolosissimo: le persone camminano per chilometri nei boschi, si affidano spesso a smugglers senza scrupoli. La polizia bulgara attua costantemente dei respingimenti illegali verso la Turchia, non risparmia le violenze, spara, non risponde alle richieste d’aiuto. Io stessa sono stata testimone delle condizioni in cui giungono: disidratate, prive di sensi, moribonde.
Grazie a un mediatore che lavora con un’associazione del luogo e che parla arabo e bulgaro, abbiamo iniziato a rispondere ad un numero telefonico d’aiuto, a disposizione per le persone stremate dal cammino una volta entrate in territorio bulgaro.
Una volta localizzate le persone nei boschi, partivamo per portare acqua, cibo e aspettare con loro i soccorsi. Le richieste di soccorso sono presto diventate tantissime.
Con tutto questo movimento, la polizia ha iniziato a essere ostile nei nostri confronti. Ci pedinano, ci trattengono ore in caserma, ci hanno intimato di smettere di andare alla frontiera. Il problema è che, se nessunə le monitora, le guardie di frontiera respingono o lasciano le persone lì nei boschi. Nemmeno i cadaveri, a volte ragazzз giovanissimз, vengono prelevati, senza la nostra presenza.
Ecco perché, anche quest’anno, a fine febbraio torneremo. Per portare dignità in uno spazio in cui si è persa.